SENTENZA N. 279 ANNO 2005
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Piero Alberto CAPOTOSTI;
Giudici: Guido NEPPI MODONA, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni
Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA,
Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
GALLO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1,
comma 3; 2, comma 1; 7, commi 1, ultimo periodo, 2, 4, 5 e 6; 10,
commi 1, 2, 4 e 5; 12, commi 1 e 2; 13, commi 1 e 3; 14, commi da 2
a 5; 15, comma 1, secondo periodo, del decreto legislativo 19
febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative alla
scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma
dell'articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), promossi con
ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia,
notificati il 3 maggio 2004, depositati in cancelleria il 6
successivo ed iscritti ai n. 51 e n. 52 del registro ricorsi 2004.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 aprile 2005 il
Giudice relatore Annibale Marini;
uditi l'avvocato Giandomenico Falcon per le Regioni
Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato dello Stato
Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la
Regione Emilia-Romagna ha proposto in via principale questione di
legittimità costituzionale di alcune norme del decreto legislativo
19 febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative
alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma
dell'articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), lamentando la
violazione degli artt. 117, commi terzo e sesto, e 118 della
Costituzione e del principio di leale collaborazione.
Premette la Regione ricorrente che, con l'art. 1, comma 1,
della legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per la
definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale), il Parlamento ha delegato il Governo ad «adottare,
[…] nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di
comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi
soggetti istituzionali, e dell'autonomia delle istituzioni
scolastiche, uno o più decreti legislativi per la definizione delle
norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione
professionale».
Stante il chiaro riferimento ai titoli di competenza
statale esclusiva di cui all'art. 117, comma secondo, lettere
m) e n), occorrerebbe preliminarmente distinguere – ad
avviso della medesima ricorrente – la categoria delle «norme
generali», di cui al richiamato art. 117, comma secondo, della
Costituzione, da quella dei «principi fondamentali» in materia di
istruzione, di cui all'art. 117, comma terzo, della Costituzione,
individuando le richiamate norme generali nelle sole «norme basilari
per l'ordinamento dell'istruzione, cioè quelle che disciplinano i
cicli e la loro durata, le finalità, gli esami finali, la libertà di
insegnamento e altri istituti di pari importanza».
La ricorrente si dice consapevole del fatto che questa
Corte non ha sinora avuto modo di definire compiutamente il rapporto
tra norme generali sull'istruzione, di competenza esclusiva dello
Stato, e principi fondamentali, destinati ad orientare le regioni.
Rileva peraltro che, nella sentenza n. 13 del 2004, essa ha dato per
certo che nell'ambito della legislazione regionale rientri la
programmazione, l'organizzazione e la gestione del servizio
scolastico, osservando tra l'altro che già il decreto legislativo n.
112 del 1998 aveva attribuito, sia pure per delega, diverse funzioni
alle regioni in materia di «programmazione e gestione amministrativa
del servizio scolastico».
Tanto premesso, la Regione assume che il decreto
legislativo n. 59 del 2004, attuativo della legge di delega n. 53
del 2003, avrebbe regolato la materia non solo nelle sue norme
generali, ma anche negli aspetti di dettaglio, come se le regioni
fossero prive di qualsiasi significativa competenza in materia di
istruzione, e, dopo una breve sintesi del testo legislativo, passa
ad esporre in maniera specifica le proprie censure.
1.1.– L'art. 1, comma 3, del decreto legislativo – secondo
cui, al fine di realizzare la continuità educativa, costituente
obiettivo della scuola dell'infanzia, gli uffici scolastici
regionali promuovono appositi accordi con i competenti uffici delle
regioni e degli enti locali – si porrebbe in contrasto con gli artt.
117, comma terzo, e 118 della Costituzione, in quanto assegna ad un
ufficio periferico statale (l'ufficio scolastico regionale) un vero
e proprio compito amministrativo, sia pure di carattere
collaborativo, in materia di competenza concorrente. Invoca al
riguardo, la ricorrente, il precedente rappresentato dalla sentenza
n. 303 del 2003, nella quale si è chiarito che, nelle materie di
competenza concorrente, lo Stato non può assegnare a se stesso le
funzioni amministrative, a meno che il principio di sussidiarietà di
cui all'art. 118 della Costituzione non imponga di accentrare
determinate funzioni per garantirne l'esercizio unitario. Ipotesi
non ricorrente nella specie, come dimostrerebbe il fatto che
l'organo individuato è un'amministrazione statale periferica e non
centrale.
1.2.– L'art. 7, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo
periodo, e l'art. 10, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo,
si porrebbero in contrasto con l'art. 117, comma terzo, della
Costituzione stabilendo, rispettivamente per la scuola primaria e
secondaria, l'orario annuale delle lezioni, ivi compreso il tempo
dedicato alla mensa e al dopo mensa, in misura fissa, senza lasciare
alcun margine di discrezionalità né alle regioni né alle scuole. Ad
avviso della ricorrente, la previsione di un orario annuale rigido
non potrebbe rientrare né tra le norme generali né tra i principi
fondamentali in materia di istruzione. Si tratterebbe dunque di una
previsione di dettaglio, lesiva della competenza regionale
concorrente.
1.3.– Anche l'art. 7, comma 4, secondo periodo, e l'art.
10, comma 4, secondo periodo, sarebbero disposizioni di dettaglio in
materia di competenza concorrente, come tali lesive dell'art. 117,
comma terzo, della Costituzione, in quanto regolano, senza lasciare
alcuno spazio alle regioni e alle scuole, la stipula dei contratti
di prestazione d'opera con gli esperti esterni, necessari per far
fronte alle attività educative opzionali. E se anche la definizione
dei titoli richiesti agli esperti può considerarsi funzione sorretta
da esigenze unitarie, essa, in quanto attinente a materia regionale,
dovrebbe comunque essere svolta – secondo i principi fissati dalla
sentenza n. 303 del 2003 – previa intesa con la Conferenza unificata
Stato-Regioni, configurandosi in difetto una lesione del principio
di leale collaborazione.
1.4.– L'art. 7, commi 5, secondo periodo, e 6, e l'art. 10,
comma 5, secondo periodo, che istituiscono la figura obbligatoria
dell'insegnante cosiddetta tutor e ne regolano puntualmente i
compiti e finanche la quantità minima di ore d'insegnamento,
sarebbero ancora norme di dettaglio, in quanto la presenza di tale
figura non potrebbe essere considerata un principio fondamentale.
1.5.– Gli artt. 2, comma 1, 12, comma 1, ultimo periodo, e
13, comma 1, secondo periodo, che individuano l'età per l'iscrizione
alla scuola dell'infanzia ed alla scuola primaria, sarebbero a loro
volta lesivi degli artt. 117, comma terzo, e 118 della Costituzione
e del principio di leale collaborazione.
La legge delega n. 53 del 2003 prevedeva – all'art. 2,
comma 1, lettera e), ultimo periodo, e all'art. 7 – la
possibilità, in via sperimentale, di un'iscrizione anticipata alla
scuola dell'infanzia, fissando come termine finale della
sperimentazione il 2006.
Il legislatore delegato ha invece irragionevolmente
previsto l'iscrizione anticipata, a regime (art. 2), senza attendere
l'esito della sperimentazione, con ciò eccedendo la delega e
violando le competenze costituzionali delle regioni in materia di
scuole dell'infanzia, in quanto l'anticipazione è prevista
d'autorità, senza alcuna possibilità per le regioni stesse di
intervenire nel relativo processo decisionale.
Inoltre, in riferimento alla fase di sperimentazione,
l'art. 12, comma 1, ha attribuito la competenza a modulare le
anticipazioni dell'iscrizione alla scuola dell'infanzia al Ministro
dell'istruzione, sentita l'Associazione nazionale dei comuni
d'Italia (ANCI), mentre la competenza legislativa ed amministrativa
al riguardo dovrebbe spettare – secondo la ricorrente – alla
regione, tanto più che la norma di delega collegava l'anticipazione
dell'iscrizione all'introduzione di nuove modalità organizzative.
Considerazioni analoghe sono svolte riguardo all'art. 13,
comma 1, che prevede la possibilità di un'anticipazione
dell'iscrizione alla scuola primaria.
In ogni caso, quand'anche dovesse ravvisarsi un'esigenza di
disciplina unitaria a fondamento delle norme in questione, esse
sarebbero comunque illegittime per il mancato coinvolgimento delle
regioni.
1.6.– Gli artt. 12, comma 2, 13, comma 3, e 14, commi 2 e
4, sarebbero lesivi dell'art. 117, comma sesto, e del
principio di leale collaborazione per la previsione di un
regolamento statale in materia di competenza regionale concorrente.
Irrilevante – ad avviso della ricorrente – è la circostanza
che tale regolamento sia previsto dall'art. 7, comma 1, della legge
di delega n. 53 del 2003, essendo pacifico nella giurisprudenza
costituzionale che gli atti legislativi sono impugnabili anche se
apparentemente confermativi di altre leggi.
In via subordinata le norme impugnate sarebbero illegittime
in quanto il richiamato art. 7, comma 1, della legge n. 53 del 2003
prevede l'intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni solo per
i profili indicati alla lettera c) (definizione degli
standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità
nazionale dei titoli professionali), e non anche per quanto riguarda
gli orari e le modalità di valutazione dei crediti scolastici, per i
quali si imporrebbe – ad avviso della ricorrente – la previsione di
adeguati meccanismi collaborativi.
1.7.– L'art. 14, comma 3, sarebbe lesivo dell'art.
117, comma terzo, della Costituzione, in quanto – confermando, sino
alla messa a regime della scuola secondaria di primo grado,
l'assetto organico derivante dai criteri fissati nel decreto del
Presidente della Repubblica n. 782 del 1982 – conferirebbe forza di
legge ad un atto che regola minutamente l'organizzazione delle
attività didattiche, escludendo qualsiasi margine di scelta delle
regioni e delle scuole.
1.8.– L'art. 14, comma 5, che prevede l'utilizzo del
personale docente interessato ad una diminuzione dell'orario di
cattedra, non costituirebbe norma generale né principio fondamentale
della materia e sarebbe perciò in contrasto anch'esso con l'art.
117, comma terzo, della Costituzione.
1.9.– L'art. 15, comma 1, secondo periodo, infine, prevede
la possibilità di incrementi di posti nell'ambito dell'organico del
personale docente, mediante il decreto del Ministro dell'istruzione,
di concerto con il Ministro dell'economia, di cui all'art. 22, comma
2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2002).
Anche la funzione di determinazione dell'organico – ad
avviso della Regione ricorrente – dovrebbe però essere trasferita,
sia pure con la opportuna gradualità, alle regioni, e pertanto la
norma, non prevedendo alcun significativo coinvolgimento delle
regioni stesse, contrasterebbe con l'art. 117, comma terzo, della
Costituzione e con il principio di leale collaborazione.
2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri si è
costituito in giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello
Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o
infondatezza del ricorso.
Premette il Governo che, in base ai principi enucleabili
dalla sentenza di questa Corte n. 13 del 2004, si dovrebbe
concludere che, al di fuori della programmazione e della gestione
del servizio, se l'intervento dello Stato si svolge nella forma
delle norme generali, non ci sono limiti derivanti da competenze
regionali. Quanto alle singole censure, osserva quanto segue.
2.1.– La norma di cui all'art. 1, comma 3, sarebbe
riconducibile alla materia dell'organizzazione amministrativa dello
Stato [art. 117, secondo comma, lettera g)] e non sarebbe in
alcun modo lesiva delle competenze regionali, riferendosi
esclusivamente all'esercizio di funzioni proprie dello Stato.
2.2.– L'art. 7, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo
periodo, e l'art. 10, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo,
fissando limiti massimi di orario annuale, ai soli fini della
determinazione dell'organico e di una corretta previsione della
spesa, non impedirebbero alle regioni – secondo l'Avvocatura – di
prevedere, con apporti fuori organico a loro carico, attività
ulteriori e non sarebbero perciò lesivi della loro sfera di
competenza.
2.3.– Le censure riguardanti l'art. 7, comma 4, secondo
periodo, e l'art. 10, comma 4, secondo periodo, sarebbero – ad
avviso dell'Avvocatura – non chiare, atteso che la stessa ricorrente
riconosce che la definizione dei titoli degli esperti può
considerarsi funzione sorretta da esigenze unitarie.
2.4.– L'art. 7, commi 5, secondo periodo, e 6, e l'art. 10,
comma 5, secondo periodo, relativi alla figura del cosiddetto
tutor, dovrebbero considerarsi norme generali o comunque
destinate ad assicurare a tutti gli stessi livelli essenziali di
prestazioni.
2.5.– Quanto agli artt. 2, comma 1, 12, comma 1, ultimo
periodo, e 13, comma 1, secondo periodo, la censura di eccesso di
delega sarebbe inammissibile, mentre l'attribuzione al Ministro
delle competenze relative alla fase di sperimentazione si
giustificherebbe per il carattere generale delle norme suscettibili
di aggiornamento, destinate ad avere applicazione sull'intero
territorio nazionale.
2.6.– Gli artt. 12, comma 2, 13, comma 3, e 14, commi 2 e
4, sono norme transitorie, in attesa della emanazione del
regolamento previsto dall'art. 7 della legge n. 53 del 2003, contro
cui sarebbe in realtà rivolta, inammissibilmente, l'impugnativa.
2.7.– Anche l'art. 14, comma 3, avrebbe carattere
transitorio e non conferirebbe – secondo l'Avvocatura – forza di
legge a norme regolamentari, bensì si limiterebbe a confermare la
disciplina regolamentare vigente, cosicché l'eventuale declaratoria
di illegittimità costituzionale della norma rimarrebbe priva di
effetti, in quanto il regolamento continuerebbe a vivere di vita
propria. Il ricorso, sul punto, sarebbe perciò inammissibile.
2.8.– L'art. 14, comma 5, riguardando l'utilizzazione del
personale docente interessato ad una diminuzione di orario, avrebbe
carattere generale, non potendo che essere uniforme sul territorio
nazionale la disciplina dei docenti che si trovino nelle stesse
condizioni, in quanto dipendenti dello Stato.
2.9.– L'art. 15, comma 1, secondo periodo, rappresenta –
secondo l'Avvocatura – un intervento sugli organici dei docenti con
oneri a carico dello Stato e nessuna pretesa potrebbe avanzare al
riguardo la regione, fondata sull'art. 119 della Costituzione, fino
all'emanazione delle relative leggi di attuazione.
Ricorda l'Avvocatura che, nella citata sentenza n. 13 del
2004, si afferma che la competenza spettante alle regioni
nell'ambito della programmazione e della gestione del servizio
scolastico riguarda tutto ciò che non coinvolge gli aspetti
finanziari e la distribuzione del personale tra le istituzioni
scolastiche.
Rileva da ultimo il Governo, in relazione alle prospettate
lesioni dell'autonomia scolastica, che la tutela di tale autonomia
non compete certamente alle regioni, con conseguente inammissibilità
delle censure a questa riferite.
3.– Anche la Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato,
con proprio ricorso, alcune norme del decreto legislativo n. 59 del
2004.
Premette la Regione ricorrente l'applicabilità anche nei
suoi confronti – in virtù della clausola di più ampia autonomia di
cui all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) – del
nuovo art. 117, comma terzo, della Costituzione, nella parte in cui
attribuisce alle regioni ordinarie la potestà legislativa
concorrente in materia di istruzione.
Ciò posto, essa censura – sulla scorta dei medesimi
argomenti svolti dalla Regione Emilia-Romagna – le seguenti
disposizioni:
- art. 7, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, e
art. 10, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo;
- art. 7, comma 4, secondo periodo, e art. 10, comma 4,
secondo periodo;
- art. 7, commi 5, secondo periodo, e 6, e art. 10, comma
5, secondo periodo;
- artt. 12, comma 1, ultimo periodo, e 13, comma 1, secondo
periodo;
- artt. 12, comma 2, e 13, comma 3;
- art. 15, comma 1, secondo periodo.
4.– Si è costituito anche in questo giudizio il Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, con atto di contenuto sostanzialmente identico
a quello depositato nel giudizio introdotto dalla Regione
Emilia-Romagna.
5.– Nell'imminenza dell'udienza pubblica, l'Avvocatura
dello Stato ha depositato memorie in entrambi i giudizi,
ulteriormente illustrando le conclusioni di merito già rassegnate.
Nella memoria depositata nel giudizio promosso dalla
Regione Friuli-Venezia Giulia, il Governo pone altresì in dubbio, in
via preliminare, l'ammissibilità del ricorso.
Assume infatti l'Avvocatura che l'art. 10 della legge
costituzionale n. 3 del 2001, estendendo alle regioni a statuto
speciale le nuove forme di autonomia delle quali esse già non godano
in virtù dei rispettivi statuti, offrirebbe a tali regioni una
tutela solo riflessa ed indiretta, con la conseguenza che esse non
avrebbero la possibilità di assumere autonome iniziative processuali
in relazione alla violazione di quelle ulteriori forme di autonomia
ma potrebbero solamente giovarsi, appunto di riflesso, delle
eventuali iniziative delle regioni ordinarie.
6.– Anche le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia
hanno depositato memorie illustrative, di analogo contenuto.
Considerato in diritto
1.– Le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia
censurano, lamentando violazioni degli artt. 117, commi terzo e
sesto, e 118 della Costituzione nonché del principio di leale
collaborazione, numerose disposizioni del decreto legislativo 19
febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative alla
scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma
dell'articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53).
I due ricorsi, stante l'evidente connessione, vanno riuniti
per essere decisi con unico provvedimento.
2.– L'Avvocatura dello Stato eccepisce in via preliminare
l'inammissibilità del ricorso proposto dalla Regione Friuli-Venezia
Giulia, la quale agisce in virtù della clausola di più ampia
autonomia di cui all'art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre
2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della
Costituzione).
Assume, in sostanza, l'Avvocatura che le regioni a statuto
speciale godrebbero, in virtù della norma citata, di una tutela solo
riflessa e derivata da quella spettante alle regioni ordinarie, con
la conseguenza che non potrebbero reagire con autonomo ricorso
principale alla eventuale violazione delle maggiori autonomie anche
ad esse riconosciute dalla novella costituzionale.
2.1.– L'eccezione è priva di fondamento.
Il tenore dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del
2001 – secondo cui «sino all'adeguamento dei rispettivi statuti, le
disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche
alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento
e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più
ampie rispetto a quelle già attribuite» – è infatti tale da non
lasciare alcun dubbio circa la volontà del legislatore
costituzionale di estendere in via diretta alle regioni a statuto
speciale le maggiori autonomie riconosciute alle regioni a statuto
ordinario, senza alcuna limitazione quanto alle forme di tutela.
Passando all'esame delle singole questioni, va anzitutto
ricordato che l'obiettivo dichiarato del decreto legislativo
impugnato dalle regioni è quello di dettare le norme generali
relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione.
La questione da risolvere in via logicamente preliminare –
sulla quale la stessa difesa delle regioni non ha mancato di
richiamare l'attenzione – riguarda proprio la individuazione delle
norme generali e la loro distinzione non solo dalle altre norme, di
competenza delle regioni, ma anche dai principi fondamentali di cui
all'art. 117, comma terzo, della Costituzione.
Ora, ove si consideri che il problema si intreccia e si
identifica con quello di competenza, è evidente come il criterio di
soluzione cui far capo vada individuato guardando, al di là del dato
testuale, di problematico significato, alla ratio della
previsione costituzionale che ha attribuito le norme generali alla
competenza esclusiva dello Stato.
E, sotto quest'ultimo aspetto, può dirsi che le norme
generali in materia di istruzione sono quelle sorrette, in relazione
al loro contenuto, da esigenze unitarie e, quindi, applicabili
indistintamente al di là dell'ambito propriamente regionale.
Le norme generali così intese si differenziano, nell'ambito
della stessa materia, dai principi fondamentali i quali, pur
sorretti da esigenze unitarie, non esauriscono in se stessi la loro
operatività, ma informano, diversamente dalle prime, altre norme,
più o meno numerose.
Sulla base di quanto precede, è possibile ora valutare la
fondatezza delle singole questioni sollevate, seguendo in proposito
lo stesso iter espositivo delle Regioni ricorrenti.
3.– La sola Regione Emilia-Romagna innanzitutto censura,
con riferimento agli artt. 117, comma terzo, e 118 della
Costituzione, l'art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 59 del
2004, in quanto attribuisce competenze amministrative, sia pure di
carattere collaborativo, ad uffici statali periferici, gli uffici
scolastici regionali, in materia, quella dell'istruzione, che, per
essere di competenza legislativa concorrente, non consentirebbe la
riserva di funzioni amministrative in favore dello Stato.
3.1.– La questione non è fondata.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la
norma impugnata non attribuisce allo Stato una funzione
amministrativa in senso proprio, ma si limita a riconoscergli la
legittimazione a stipulare accordi (con i competenti uffici delle
regioni e degli enti locali) funzionali alla realizzazione di quella
continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con
la scuola primaria, che costituisce – ai sensi del comma 1 del
medesimo art. 1 – una delle finalità proprie della scuola
dell'infanzia.
E poiché non vi è dubbio che l'indicazione delle finalità
di ciascuna scuola sia espressiva della competenza esclusiva statale
in materia di norme generali sull'istruzione, va conseguentemente
escluso che l'attività di carattere collaborativo svolta dagli
uffici scolastici regionali in materia di esclusiva competenza
statale possa ledere le competenze costituzionali delle regioni.
Ben potendosi affermare come la norma censurata realizzi,
invece, proprio quel modello collaborativo tra Stato e regioni
invocato, ad altro proposito, dalle stesse Regioni ricorrenti.
4.– Entrambe le ricorrenti impugnano – lamentando la
violazione dell'art. 117, comma terzo, della Costituzione – l'art.
7, commi 1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, e l'art. 10, commi
1, 2, primo periodo, e 4, primo periodo, del decreto legislativo n.
59 del 2004, che stabiliscono – rispettivamente per la scuola
primaria e la scuola secondaria – l'orario annuale delle lezioni,
l'orario annuale delle ulteriori attività educative e didattiche
rimesse all'organizzazione delle istituzioni scolastiche e l'orario
relativo alla mensa ed al dopo mensa. Si tratterebbe – ad avviso
delle medesime ricorrenti – di norme di dettaglio che, nel fissare
in modo «rigido» i suddetti orari annuali, escluderebbero qualsiasi
residuo margine di competenza regionale.
4.1.– La questione non è fondata, alla stregua delle
considerazioni che seguono.
Le Regioni ricorrenti muovono dalla esplicita premessa che
le norme impugnate debbano essere interpretate nel senso di
considerare gli orari annuali ivi stabiliti come fissi ed
assolutamente immodificabili, cosicché non sarebbe consentito alle
regioni nemmeno aumentare – a proprie spese – la quota oraria a loro
riservata.
Tale interpretazione è tuttavia palesemente irragionevole,
in quanto attribuisce alle norme di cui si tratta una funzione – ad
esse sicuramente estranea – limitatrice della offerta formativa.
Le norme stesse vanno al contrario intese come espressive
di livelli minimi di monte-ore di insegnamento validi per l'intero
territorio nazionale, ferma restando la possibilità per ciascuna
regione (e per le singole istituzioni scolastiche) di incrementare,
senza oneri per lo Stato, le quote di rispettiva competenza.
Così rettamente interpretate, le norme si sottraggono
evidentemente alle censure di illegittimità costituzionale formulate
nei ricorsi.
5.– Le medesime ricorrenti impugnano poi – con riferimento
all'art. 117, comma terzo, della Costituzione ed al principio di
leale collaborazione – gli artt. 7, comma 4, secondo periodo, e 10,
comma 4, secondo periodo, del decreto legislativo n. 59 del 2004.
Le due disposizioni, di identico contenuto, prevedono –
rispettivamente per la scuola primaria e per quella secondaria – che
le istituzioni scolastiche, per lo svolgimento delle attività e
degli insegnamenti opzionali che richiedano una specifica
professionalità non riconducibile al profilo professionale dei
docenti della scuola primaria o secondaria, stipulino contratti di
prestazione d'opera con esperti in possesso di titoli definiti con
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica.
Si tratterebbe di disposizioni di dettaglio, lesive –
secondo le ricorrenti – dell'autonomia regionale e di quella delle
istituzioni scolastiche. La mancata previsione di un'intesa con la
Conferenza unificata Stato-Regioni quanto alla definizione dei
titoli richiesti agli esperti si tradurrebbe, sotto altro aspetto,
in una violazione del principio di leale collaborazione.
5.1.– La questione è infondata.
A prescindere dai profili di ammissibilità della censura,
per la parte in cui le Regioni intendono far valere una violazione
dell'autonomia scolastica, è assorbente il rilievo che la scelta
della tipologia contrattuale da utilizzare per gli incarichi di
insegnamento facoltativo da affidare agli esperti e l'individuazione
dei titoli richiesti ai medesimi esperti sono funzioni sorrette da
evidenti esigenze di unitarietà di disciplina sull'intero territorio
nazionale, cosicché le disposizioni impugnate vanno senz'altro
qualificate come norme generali sull'istruzione, in quanto tali
appartenenti alla competenza esclusiva dello Stato.
6.– Sia la Regione Emilia-Romagna sia la Regione
Friuli-Venezia Giulia censurano l'art. 7, commi 5, secondo periodo,
e 6, e l'art. 10, comma 5, secondo periodo, che prevedono –
rispettivamente per la scuola primaria e secondaria, indicandone
anche, quanto alla scuola primaria, l'impegno orario minimo – la
figura del cosiddetto tutor, definito dalle norme impugnate
come il docente in possesso di specifica formazione che, in costante
rapporto con le famiglie e con il territorio, svolge funzioni di
orientamento nella scelta delle attività facoltative, di “tutorato”
degli allievi, di coordinamento delle attività educative e
didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della
documentazione del percorso formativo compiuto dall'allievo, con
l'apporto degli altri docenti.
Si tratterebbe anche in questo caso – secondo le ricorrenti
– di norme di dettaglio, dovendosi escludere che l'istituzione di
una simile figura di docente costituisca un principio fondamentale
in materia di istruzione.
6.1.– Anche tale questione è infondata.
La definizione dei compiti e dell'impegno orario del
personale docente, dipendente dallo Stato, rientra infatti
sicuramente nella competenza statale esclusiva di cui all'art. 117,
comma secondo, lettera g), della Costituzione, trattandosi di
materia attinente al rapporto di lavoro del personale statale. Non
sussiste, pertanto, alcuna violazione della competenza regionale in
materia di istruzione.
7.– Gli artt. 2, comma 1, 12, comma 1, ultimo periodo, e
13, comma 1, secondo periodo, fissano i limiti minimi di età per
l'iscrizione alla scuola dell'infanzia ed alla scuola primaria.
In dettaglio, l'art. 2 disciplina l'accesso – a regime –
alla scuola dell'infanzia, stabilendo che possano esservi iscritti
le bambine ed i bambini che compiono i tre anni entro il 30 aprile
dell'anno scolastico di riferimento.
L'art. 12 regola l'accesso alla medesima scuola
dell'infanzia nella fase transitoria di sperimentazione, prevista
dalla legge delega, avente inizio con l'anno scolastico 2003-2004 e
destinata a proseguire fino all'anno 2006, prevedendo la possibilità
di una graduale anticipazione dell'età minima per l'iscrizione fino
a giungere al limite temporale indicato all'art. 2. L'ultimo periodo
del primo comma affida al Ministro dell'istruzione, dell'università
e della ricerca il compito di modulare le anticipazioni, «sentita
l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (ANCI)».
Analogamente dispone il secondo periodo del comma 1 del
successivo art. 13, con riferimento alla scuola primaria.
7.1.– L'art. 2, comma 1, è censurato, dalla sola Regione
Emilia-Romagna, in quanto, dettando una disciplina a regime
dell'accesso alla scuola dell'infanzia senza attendere i risultati
della fase di sperimentazione, violerebbe la delega, negando
irragionevolmente le ragioni stesse della sperimentazione.
7.2.– La questione non è fondata.
Premesso che le regioni non sono legittimate a denunciare
il vizio di eccesso di delega se non in quanto da tale vizio
discenda una diretta lesione dell'autonomia regionale, è sufficiente
nella specie osservare che la fissazione del limite di età per
l'iscrizione alla scuola dell'infanzia (come a qualsiasi altra
scuola) è una funzione sorretta da evidenti esigenze unitarie,
rappresentando l'omogeneità anagrafica condizione minima di
uniformità in materia scolastica.
La disposizione impugnata è pertanto espressiva di una
competenza legislativa sicuramente spettante allo Stato.
7.3.– Entrambe le ricorrenti impugnano poi gli artt. 12 e
13, per le parti relative alla “modulazione” delle anticipazioni.
Assumono, in sostanza, che se si conviene che la sperimentazione non
è una funzione da svolgere necessariamente in forma centralizzata ed
anzi deve tenere conto, secondo lo stesso legislatore statale, delle
peculiari situazioni locali – come testimonierebbe il previsto
coinvolgimento dell'ANCI – dovrebbe allora concludersi che la
relativa disciplina rientra nell'ambito della competenza regionale,
come è del resto coerente con la natura di materia concorrente
propria dell'istruzione.
In subordine, seppure si dovesse ravvisare un'esigenza di
disciplina unitaria a fondamento della competenza attribuita al
Ministro, le norme impugnate sarebbero – secondo le ricorrenti – pur
sempre illegittime per violazione del principio di leale
collaborazione, in quanto non prevedono alcuna forma di
partecipazione delle regioni nella fase decisionale.
7.4.– La questione sollevata in via primaria non è fondata,
alla stregua delle medesime considerazioni svolte sub 7.2.
riguardo alla sicura appartenenza alla competenza statale della
disciplina concernente la fissazione dell'età minima di accesso alle
scuole.
7.5.– Sono invece fondate, nei termini che seguono, le
censure, subordinatamente svolte dalle ricorrenti, riferite alla
violazione del principio di leale collaborazione.
Il coinvolgimento delle realtà locali nella fase di
graduale anticipazione dell'età di accesso alla scuola, almeno per
quanto riguarda la scuola dell'infanzia, e pur essendo la materia
riconducibile – per quanto si è osservato – alla competenza
esclusiva dello Stato, è stato ritenuto evidentemente opportuno dal
legislatore statale, come dimostra la partecipazione dell'ANCI, in
forma consultiva, al relativo procedimento decisionale, prevista
dall'art. 12, comma 1, ultimo periodo.
Preso atto, dunque, della volontà collaborativa manifestata
dal legislatore statale, occorre tuttavia considerare che, in
materia di istruzione, il naturale interlocutore dello Stato è
essenzialmente la regione, in quanto gli altri enti locali sono
privi di competenza legislativa.
La norma appare pertanto non rispettosa, sotto tale
profilo, del principio di leale collaborazione e va dunque
ricondotta a legittimità costituzionale sostituendo alla prevista
partecipazione consultiva dell'ANCI quella della Conferenza
unificata Stato-Regioni.
Non essendovi alcuna ragionevole giustificazione per
limitare alla sola scuola dell'infanzia la partecipazione delle
regioni ai processi decisionali in tema di anticipazione delle
iscrizioni, va altresì dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 13, comma 1, secondo periodo, del medesimo decreto
legislativo n. 59 del 2004, nella parte in cui non prevede che il
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca relativo all'eventuale anticipazione delle iscrizioni alla
scuola primaria sia adottato sentita la Conferenza unificata
Stato-Regioni.
8.– Gli artt. 12, comma 2, 13, comma 3, e 14, commi 2 e 4,
dettano disposizioni transitorie, relativamente all'assetto
pedagogico, didattico ed organizzativo della scuola dell'infanzia,
della scuola primaria e della scuola secondaria di secondo grado,
fino all'emanazione del regolamento governativo previsto dall'art.
7, comma 1, della legge di delega.
Dette norme sarebbero, secondo le regioni ricorrenti (la
Regione Friuli-Venezia Giulia impugna peraltro i soli artt. 12,
comma 2, e 13, comma 3), lesive dell'art. 117, comma sesto, della
Costituzione, in quanto reiterano la previsione di emanazione di un
regolamento statale il cui oggetto – quale indicato dal citato art.
7, comma 1, della legge 28 marzo 2003, n. 53 (Delega al Governo per
la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli
essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale) – non sarebbe interamente riconducibile alle norme
generali sull'istruzione ma ricadrebbe, almeno in parte, in materia
di legislazione concorrente, nella quale non è consentito allo Stato
fare ricorso allo strumento regolamentare.
Subordinatamente, le medesime norme dovrebbero ritenersi
illegittime, per violazione del principio di leale collaborazione,
in quanto il citato art. 7, comma 1, prevede l'intesa con la
Conferenza unificata Stato-Regioni solo per quanto riguarda le
materie indicate alla lettera c) («definizione degli
standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità
nazionale dei titoli professionali conseguiti all'esito dei percorsi
formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi
scolastici»), ma non anche per quelle di cui alla lettera a)
(«individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio
scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi
specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività
costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai
limiti di flessibilità interni nell'organizzazione delle
discipline») ed alla lettera b) («determinazione delle
modalità di valutazione dei crediti scolastici»). E tanto la
disciplina degli orari, di cui alla lettera a), quanto quella
relativa alle modalità di valutazione dei crediti scolastici, di cui
alla lettera b), pur se in ipotesi ricondotte alla competenza
statale esclusiva di cui all'art. 117, comma secondo, lettera
n), interferirebbero comunque con la gestione del servizio
scolastico, di competenza regionale, così da richiedere l'adozione
di meccanismi collaborativi.
8.1.– La questione non è fondata.
I regolamenti previsti dall'art. 7, comma 1, della legge n.
53 del 2003 riguardano la determinazione di livelli essenziali della
prestazione statale in materia di assetto pedagogico, didattico e
organizzativo e sono perciò riconducibili alla competenza statale
esclusiva di cui all'art. 117, comma secondo, lettera m),
della Costituzione.
Le norme impugnate, che a tali regolamenti fanno
riferimento, non ledono pertanto alcuna competenza regionale né
contrastano con il principio di leale collaborazione.
9.– La sola Regione Emilia-Romagna censura l'art. 14, comma
3, del decreto legislativo n. 59 del 2004, secondo cui, fino alla
messa a regime della scuola secondaria di primo grado, il relativo
assetto organico «viene confermato secondo i criteri fissati nel
decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 1982, n. 782».
Osserva la ricorrente che il suddetto decreto del
Presidente della Repubblica, cui la norma impugnata attribuirebbe
forza di legge, è un regolamento integralmente concepito nella
logica della scuola meramente statale, in un contesto privo di
qualsiasi competenza regionale. Esso sarebbe perciò intimamente
contrastante con il nuovo quadro costituzionale, secondo il quale
allo Stato, in materia di organizzazione scolastica, compete
solamente dettare i principi fondamentali.
9.1.– La questione è inammissibile.
La censura, tenuto conto della eterogeneità della
disciplina recata dal citato decreto del Presidente della
Repubblica, n. 782 del 1982, risulta infatti del tutto generica, non
consentendo l'individuazione delle specifiche disposizioni
asseritamente contrastanti con il nuovo assetto costituzionale.
10.– Anche il comma 5 dell'art. 14 è oggetto di censura da
parte della sola Regione Emilia-Romagna.
La norma impugnata dispone che «ai fini dell'espletamento
dell'orario di servizio obbligatorio, il personale docente
interessato ad una diminuzione del suo attuale orario di cattedra
viene utilizzato per le finalità e per le attività educative e
didattiche individuate, rispettivamente, dall'articolo 9 e
dall'articolo 10».
Si tratterebbe anche in questo caso – secondo la ricorrente
– di una norma di dettaglio in materia di organizzazione delle
attività educative nella scuola secondaria di primo grado, lesiva
tanto delle competenze regionali in materia di istruzione quanto
dell'autonomia scolastica.
10.1.– La questione non è fondata.
A prescindere – anche in tal caso – dai profili di
ammissibilità per quanto attiene alla prospettata lesione
dell'autonomia scolastica, è decisivo nel merito il rilievo che la
norma concerne in via diretta l'utilizzazione di personale docente
statale, la cui disciplina rientra senza alcun dubbio nella
competenza esclusiva dello Stato di cui all'art. 117, comma secondo,
lettera g), della Costituzione (organizzazione amministrativa
dello Stato).
11.– L'ultima questione sollevata da entrambe le
ricorrenti, con riguardo all'art. 117, comma terzo, della
Costituzione ed al principio di leale collaborazione, riguarda
l'art. 15, comma 1, secondo periodo, che, al fine di realizzare le
attività educative di cui agli artt. 7, commi 1, 2 e 3, e 10, commi
1, 2 e 3, del medesimo decreto legislativo, affida la possibilità di
attivare incrementi di posti per le attività di tempo pieno e di
tempo prolungato nell'ambito dell'organico del personale docente, al
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
di cui all'art. 22, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato – legge finanziaria 2002).
Assumono, in sostanza, le ricorrenti che, spettando alle
regioni la competenza costituzionale in materia di gestione ed
organizzazione del servizio dell'istruzione pubblica, anche le
funzioni riguardanti l'organico dovrebbero essere oggetto di
trasferimento, insieme alle necessarie risorse, nel quadro di una
progressiva attuazione dell'art. 119 della Costituzione.
Pur tenuto conto della necessaria gradualità che siffatto
trasferimento di funzioni comporta, non sarebbe comunque compatibile
con il nuovo assetto costituzionale una norma – come quella
impugnata – che nega qualsiasi significativo coinvolgimento delle
regioni in tema di organico del personale docente.
11.1.– La questione è fondata, nei limiti di seguito
precisati.
L'incremento, nell'ambito dell'organico del personale
docente statale, dei posti attivati per le attività di tempo pieno e
di tempo prolungato attiene ad aspetti dell'organizzazione
scolastica che evidentemente intersecano le competenze regionali
relative alle attività educative di cui agli artt. 7 e 10.
Il rispetto del principio di leale collaborazione impone
pertanto che nell'adozione delle scelte relative vengano coinvolte
anche le regioni, quanto meno nella forma – già ben nota
all'ordinamento – della consultazione dei competenti organi statali
con la Conferenza unificata Stato-Regioni.
La norma impugnata va perciò dichiarata illegittima nella
parte in cui non prevede che il decreto ex art. 22, comma 2,
della legge 28 dicembre 2001, n. 448, sia adottato dal Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata Stato-Regioni.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 12, comma 1, ultimo periodo, del decreto legislativo
19 febbraio 2004, n. 59 (Definizione delle norme generali relative
alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo dell'istruzione, a norma
dell'articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), nella parte in
cui dispone che il decreto del Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca in tema di anticipazione dell'età di
accesso alla scuola dell'infanzia sia adottato «sentita
l'Associazione nazionale dei comuni d'Italia (ANCI)» invece che
sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni;
b) dichiara l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 13, comma 1, secondo periodo, del medesimo decreto
legislativo n. 59 del 2004 nella parte in cui non prevede che il
decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca in tema di anticipazione dell'età di accesso alla scuola
primaria sia adottato sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni;
c) dichiara l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 15, comma 1, secondo periodo, del medesimo decreto
legislativo n. 59 del 2004 nella parte in cui non prevede che il
decreto ex art. 22, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n.
448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2002), in tema di
incremento di posti per le attività di tempo pieno e di tempo
prolungato sia adottato dal Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata
Stato-Regioni;
d) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 14, comma 3, del medesimo
decreto legislativo n. 59 del 2004, sollevata, in riferimento
all'art. 117, comma terzo, della Costituzione, dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;
e) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 1, comma 3; 2, comma 1; 7, commi 1, 2,
primo periodo, 4, 5, secondo periodo, e 6; 10, commi 1, 2, primo
periodo, 4 e 5, secondo periodo; 12, comma 2; 13, comma 3; 14, commi
2, 3, 4 e 5, del medesimo decreto legislativo n. 59 del 2004
sollevate, in riferimento agli artt. 117, comma terzo, e 118 della
Costituzione ed al principio di leale collaborazione, dalle Regioni
Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia con i ricorsi in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 15 luglio 2005.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
|